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Data: 31/03/2003 - Anno: 9 - Numero: 1 - Pagina: 29 - INDIETRO - INDICE - AVANTI

IL CAPODANNO KURDO

Letture: 1247               AUTORE: Pietro Cossari (Altri articoli dell'autore)        

Quest’anno, forse a causa della guerra sferrata dagli Anglo-Americani contro il regime di Saddam Hussein, i Kurdi presenti a Badolato non hanno festeggiato l’entrata ufficiale della primavera che coincide con una loro particolare ricorrenza chiamata Nawroz (Nuovo Giorno).
Si tratta di un’antichissima usanza con la quale tutte le comunità kurde ovunque disperse nel mondo ricordano la propria liberazione dall’oppressione assira avvenuta per opera del fabbro Kawa. Costui, capeggiando una rivolta che esplose il 21 marzo del 612 a.C., riuscì ad uccidere il crudele tiranno Zohak (o Zedok) che ogni giorno dava da mangiare i cervelli di due giovani Kurdi a due serpenti che teneva sulle sue spalle. Da allora, ogni 21 marzo, i Kurdi, che discendono dai Medi e che vantano come illustre antenato il famoso Saladino, celebrano il loro Capodanno con musiche etniche, balli, canti e discorsi inneggianti alla lotta per l’indipendenza contro i quattro Paesi che si sono spartiti il Kurdistan: la Siria, la Turchia, l’Iran e l’Iraq. Durante questa particolare cerimonia vengono accesi dei fuochi ad imitazione dei falò che servirono a Kawa e ai suoi seguaci per comunicare a tutto il popolo kurdo lo scoccare dell’insurrezione e poi, la riconquistata libertà. Su quei fuochi i giovani kurdi saltano per dimostrare il loro coraggio e la volontà di essere persino pronti a sacrificarsi con il martirio per l’indipendenza del Kurdistan.
L’accensione dei fuochi nella notte che precede l’alba dell’equinozio di primavera è una sacra tradizione agricola risalente a tempi remoti e che è comune a tutti i popoli d’origine indoeuropea. Tradizione che, come afferma la scrittrice Laura Schrader nel suo libro “La Media e il Kurdistan”, si armonizzò perfettamente con la religione enunciata dal profeta Zarathustra (o Zoroastro, come lo chiamavano i Greci) e che si diffuse rapidamente fra le genti iraniche, le prime a professare una fede monoteista poiché credevano in Ahura Mazda (oppure Ormazd, Dio Creatore e Supremo Bene), onorato con il fuoco perenne. Elemento, quest’ultimo, che influenzò notevolmente molte altre religioni, assurgendo a simbolo di vitalità e purificazione. Di conseguenza, usando le parole della Schrader si può asserire che: “In una folgorante sintesi culturale, nel mito di Kawa e nel significato del Capodanno kurdo si fondono i falò della primavera, la sacra fiamma del mazdeismo e il fuoco della libertà.” Quell’eterno fuoco della libertà che in un giorno non tanto lontano, Stati Uniti e potenze europee permettendo, spero venga acceso in un Kurdistan finalmente libero da ogni dominazione straniera. In un Kurdistan che ritorni ad essere terra dei Kurdi e non più patria immaginaria per milioni di profughi disperati che, già delusi nel ’91 dall’esito della prima guerra del Golfo, temono ora di diventare nuovamente le vere vittime di questo secondo conflitto per il petrolio, e di vedere definitivamente cancellato il loro sacrosanto diritto ad un’esistenza libera e dignitosa nei luoghi delle loro radici.


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